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Roma esoterica e simbolica

Porta magica

Tra le piazze, i monumenti e i vicoli della Città Eterna si celano leggende, tradizioni e storie che raccontano di una città magica e misteriosa.

Sapevate che a Roma si può aprire una porta magica, guardare la sedia del diavolo, tentare di decifrare i simboli in una basilica, mangiare lumache contro le streghe o rievocare la dea Iside?  

Attraverso i nostri racconti, scopriamo i personaggi e i luoghi affascinanti che, uniti dal fil rouge dell’esoterismo, ci accompagnano alla scoperta dell’anima occulta della capitale. 

Racconto #1

Se siete appassionati di enigmi, la Basilica di Santa Maria Maggiore fa al caso vostro. Al suo interno, custodisce un misterioso quadrato sul quale sono incise cinque parole: Sator, Arepo, Tenet, Opera, Rotas. Notate nulla di strano? La frase può essere letta in qualsiasi verso, da destra a sinistra, da sinistra a destra, dall’alto in basso o dal basso in alto. Si tratta di un palindromo, il cui testo è un vero rompicapo per archeologi, matematici, filologi e studiosi di tutto il mondo. Diffuso in varie zone d’Europa, il magico e antico Quadrato del Sator è curiosamente presente anche nei sotterranei della splendida chiesa, già nota per il miracolo della neve.

Nella vicina Piazza Vittorio Emanuele II, c’è una Porta magica, oggi murata. È tutto ciò che resta di Villa Palombara, costruita a partire dal 1620 dal marchese Oddo Savelli di Palombara.
Fu ereditata dal figlio Massimiliano, uomo di notevole cultura e amante dell’alchimia, che vi costruì un laboratorio per i propri esperimenti. Secondo la leggenda, un viaggiatore, probabilmente il medico alchimista Francesco Borri, fu ospitato nella villa durante una notte tempestosa del 1680.
Entrando nei giardini, l’uomo si mise alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre oro. Il mattino dopo, di lui non c’era più alcuna traccia, se non resti di pagliuzze d’oro e alcuni enigmatici manoscritti pieni di simboli. Il marchese fece incidere sulla “Porta Alchemica” tutte le formule, che sembra contenessero il segreto della pietra filosofale. Sorvegliati da due statue del dio egizio Bes, triangoli, simboli di pianeti, scritte in ebraico e iscrizioni in latino sono ancora lì, in attesa di qualcuno che sveli l’arcano.

Non molto distante, si raggiunge la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, misteriosamente intrecciata al destino di Gerberto D’Aurillac, divenuto papa nel 999 con il nome di Silvestro II.
Uomo dalle straordinarie conoscenze, era noto come il “Papa mago” e fu una delle figure più controverse della storia di Roma.
La leggenda narra che fosse diventato così potente, grazie ai favori del demonio. Si racconta, infatti, che possedesse un libro magico e che avesse fatto costruire una maschera d’oro, in grado di rispondere alle sue domande, al cui interno aveva intrappolato un demone.
Interrogata dal papa sulle circostanze della sua futura morte, la maschera avrebbe risposto “Tu morirai officiando messa a Gerusalemme”.  Il 12 maggio 1003, il pontefice morì mentre celebrava la messa in Santa Croce in Gerusalemme e fu tumulato nella vicina Basilica di San Giovanni in Laterano. Una coincidenza?
Silvestro II non smise, però, di stupire; in occasione dell’apertura della sua tomba, 645 anni dopo, il suo corpo fu ritrovato intatto, dissolvendosi a contatto con l’aria e sparendo in una nube di polvere: rimasero soltanto una croce d’argento e l’anello papale. Ancora oggi, si narra che, quando muore un papa, dal suo sepolcro scenda un rivolo d’acqua. 

Nella zona di San Giovanni in Laterano, il sacro e il profano si sono incontrati per secoli. Sapevate che, a Roma, la festa del 24 giugno dedicata a San Giovanni è chiamata anche "Notte delle streghe"? Secondo la tradizione, durante la notte della vigilia, le streghe andavano in giro per la città alla ricerca delle anime.
Così, la gente partiva da tutti i rioni, al lume di torce e lanterne, e si ritrovava sui prati di San Giovanni per pregare il santo, bere, fare rumore con tamburelli, trombette e campanacci ma, soprattutto, per mangiare le lumache nelle osterie e nelle baracche.
Mangiare le lumache, le cui corna rappresentavano discordie e preoccupazioni, significava, infatti, allontanare le negatività. La festa terminava solamente all’alba, quando il Papa si recava al Laterano per celebrare la messa e, subito dopo, gettare monete d’oro e d’argento dalla loggia della basilica.
Ai più scaramantici non resta che andare in cerca di un buon piatto di lumache in una trattoria tradizionale dei dintorni…

Di fianco alla basilica, si trova uno dei luoghi con più reliquie al mondo: è il Sancta Sanctorum, cui si accede dalla Scala Santa, la stessa, secondo la tradizione, salita da Gesù nel palazzo di Ponzio Pilato a Gerusalemme nei giorni del suo processo, e inviata a Roma da Sant’Elena. Qui, erano custoditi numerosi e singolari resti sacri, alcuni dei quali oggi scomparsi, altri chiusi in tabernacoli ogivali d’argento, altri ancora conservati altrove.
«Non est in toto orbe sanctior locus», ossia «Non esiste al mondo luogo più santo» recita la scritta sull’altare, su cui è esposta l’immagine acheropita del Redentore, cioè non dipinta da mano umana
Una prima leggenda narra che Maria chiese all’apostolo Luca un ritratto di Cristo. Il futuro evangelista non fece in tempo a iniziare che trovò l’immagine già impressa sulla tela, sembra per mano degli angeli.
Si racconta anche che il patriarca di Costantinopoli, per salvare l’opera dalle persecuzioni iconoclastiche, la gettò in mare, da dove giunse sulle rive del Tevere e fu raccolta da Papa Gregorio II, avvisato da un sogno premonitore. Ricoperta nel corso del XIII secolo con una lamina d’argento, la miracolosa reliquia, di cui è visibile il volto dipinto su un panno di seta, è una delle icone più enigmatiche e venerate nella storia della città, portata, in passato, in processione come un talismano persino dai pontefici. Chi l’avrà dipinta?   

Racconto #2

Sul Colle degli Ortuli, dove sorge la Basilica di Santa Maria del Popolo, si trova uno dei luoghi più misteriosi della città: la tomba maledetta di Nerone, l’imperatore morto suicida, le cui ceneri vennero sepolte in un’urna di porfido sotto un noce. La leggenda narra che il noce, perennemente sorvolato dai corvi, fosse luogo abituale di ritrovo di alcuni demoni, di streghe e negromanti. Nel 1099, Papa Pasquale II, particolarmente superstizioso, decise di intervenire su quel luogo apparentemente infestato da fantasmi, in seguito a un sogno in cui gli apparve la Vergine. Il pontefice fece abbattere l’albero secolare, disperdendo le ceneri dell’imperatore nel Tevere e costruendo una cappella nel punto dove si trovava il Sepolcro dei Domizi. Avvicinandosi all’altare maggiore di Santa Maria del Popolo e guardando in alto, i più curiosi potranno ammirare sotto la volta i bassorilievi che ricordano la misteriosa vicenda.

Nel cuore del centro storico, potrete scoprire le testimonianze del tempio egizio più antico e maestoso di Roma: l’Iseo Campense al Campo Marzio, dedicato a Iside, dea dai mille nomi e divinità egizia della magia, della fertilità e della maternità. Dal I secolo avanti Cristo, dopo la conquista dell'Egitto da parte di Roma, il fascino dell’esotico paese e il culto di Iside conquistano prepotentemente la capitale dell’impero, adorna di obelischi, geroglifici e simboli. Lo splendido e imponente santuario, costruito nel 43 a.C., misurava 240 x 60 metri e fu restaurato e impreziosito nel corso dei secoli da molti imperatori. In seguito all'editto di Costantino e alla distruzione del tempio, molti significativi resti furono riutilizzati. I maestosi obelischi di Piazza della Rotonda, di Piazza della Minerva e di Piazza Navona, il grande piede di marmo di via del Pie' di Marmo, i leoni della Cordonata del Campidoglio, la statua parlante di “Madama Lucrezia e la statuetta di un gatta sulla facciata di palazzo Grazioli sono alcune delle silenziose testimonianze di pietra dell’affascinante dea e del suo fastoso tempio che si delineano nel centro della capitale, indifferenti al passare dei secoli e dei cambiamenti.

“Tu se' omai al purgatorio giunto” ci direbbe il sommo Dante Alighieri accogliendoci nella chiesa neogotica del Sacro Cuore del Suffragio, sul Lungotevere, a due passi da Castel Sant’Angelo. All’interno, si trova infatti il suggestivo Museo delle Anime del Purgatorio, istituito dal missionario francese Victor Jouet, in seguito agli eventi del 15 novembre 1897, quando nella Cappella del Rosario si sviluppò un misterioso incendio. Il sacerdote e molti fedeli presenti scorsero tra le fiamme un volto umano sofferente che, dopo aver estinto le fiamme, rimase enigmaticamente impresso sulla parete. L’immagine venne identificata come quella di un’anima sofferente del purgatorio, e andava assumendo un’espressione più serena con l’azione di suffragio. L’inquietante avvenimento spinse Padre Jouet a girare l’Europa alla ricerca di testimonianze dell’esistenza ultraterrena dei defunti e dei loro contatti con il mondo dei vivi, raccogliendo impronte e oggetti straordinari, segni e manifestazioni di ogni genere. Misteriose e occulte “impronte di fuoco” su stoffe, tonache, papaline, libri, camicie da notte e tavolette di legno svelano le apparizioni, a familiari e religiosi, di defunti, dettate dalla richiesta di preghiere, messe di suffragio o, come in un caso del 1879, dalla preoccupazione di una donna belga per la vita dissoluta condotta dal proprio figlio. Tra le guglie e il candore marmoreo della chiesa, detta il “piccolo duomo di Milano”, gli appassionati dell’occulto potranno studiare le enigmatiche tracce  del “piccolo” purgatorio.

Una romantica isola sorge da secoli al centro del Tevere, tra le due sponde dell’Antico Ghetto Ebraico e del Rione Trastevere. Si tratta dell’Isola Tiberina, dal curioso profilo a forma di nave. Secondo la tradizione, intorno al 291 a.C., mentre Roma era preda a una terribile epidemia di peste, una nave con dieci saggi salpò verso Epidauro, città sacra al dio greco della medicina Esculapio, per chiedere aiuto e soccorsi. Durante i riti propiziatori, apparve improvvisamente un enorme serpente che, uscendo dal tempio, si rifugiò all'interno della nave romana. Interpretato come un segno divino, la nave si affrettò a ritornare a Roma; all’altezza dell’isola, il serpente scese nel Tevere, nuotò fino all’Isola Tiberina e scomparve tra la vegetazione, indicando il punto esatto dove sarebbe dovuto sorgere il tempio dedicato al dio. Inaugurata la costruzione, la città si salvò miracolosamente dalla pestilenza, e il tempio divenne un luogo di cura sacro, in cui si alternavano riti religiosi e guarigioni. L’antica vocazione medica dell’isola continua ancora oggi con l’ospedale “Fatebenefratelli” e l’ospedale Israelitico. Sui resti del santuario dedicato a Esculapio fu in seguito edificata la Chiesa di San Bartolomeo all’Isola, mentre, in ricordo del miracolo, all’isolotto fu data proprio la forma di una nave, con tanto di prua, poppa e albero maestro, rappresentato da un obelisco. L’ipnotico bassorilievo di un serpente attorcigliato al bastone del dio emerge da una delle arcate sotto Ponte Fabricio a rievocare il prodigioso evento.

Racconto #3

Nel quartiere Africano, nell’odierna piazza Elio Callistio, si trova la Sedia del diavolo, il rudere di un antico monumento funebre, probabilmente di un liberto dell’imperatore Adriano. La costruzione, che nell’antichità sorgeva su una collina lungo la via antica Nomentana, fu eretta nella metà del II secolo d.C. su due piani. Fu chiamata "Sedia del diavolo" in seguito al crollo della facciata, quando i resti assunsero l’aspetto di una sedia con dei braccioli. In epoca medievale, quando il monumento era situato lontano dalla città e abbandonato a se stesso, nacquero le tante, inquietanti leggende: si iniziò, infatti, a credere che fosse un luogo demoniaco, nonché il trono di Satana, posto proprio alle spalle del trono del Papa. Il luogo era rifugio abituale di uomini e pastori senza dimora che, di notte, accendevano fuochi, facendo assumere al monumento un aspetto ancor più tenebroso a causa del gioco di fiamme e ombre. Nel 1300, c’era, poi, chi scriveva i propri desideri sul muro, affinché si realizzassero, e chi raschiava frammenti di mattoni da utilizzare poi in pozioni magiche. Si narra, inoltre, che nel 1800, un pastore di nome Giovanni, in cerca di una pecora che aveva smarrito, si avvicinò alla “Sedia”, e fu improvvisamente dotato di straordinari poteri, con i quali curava le persone preparando filtri miracolosi proprio con la polvere ricavata dal monumento. Le leggende, però, non finiscono qui: sembra che, in un punto della "Sedia", si possa leggere la parola "kabala", una specie di formula magica incisa sulle pietre del rudere dall'alchimista Zum Thurm. Battendo con un pugno chiuso sui mattoni e recitando "voglio cambiare storia", si diceva che fosse possibile davvero cambiare la propria vita…

Situata nello splendido parco di Villa Torlonia, la Casina delle Civette possiede un ipnotico fascino notturno, fatato e gotico. L’edificio fu costruito nel 1908, trasformando radicalmente l’ottocentesca “Capanna svizzera”, su ispirazione del Principe Giovanni Torlonia, uomo poco socievole e amante dell’esoterismo. L’eclettico Principe modellò la costruzione al punto che, tra il 1916 e il 1920, da rifugio alpino, diventò una raffinata e onirica espressione di Stile Liberty, con grandi finestre, loggette, porticati, torrette, decorazioni a maioliche e vetrate colorate. Non appena varcata la soglia, un mondo popolato da animali fantastici, creature misteriose e simboli esoterici si svela agli occhi del visitatore: farfalle, comete, rose, trifogli, fari, gabbiani, figure femminili, satiri, fenici, ciclamini, uccelli e, su tutto, la civetta, ripetuta in ogni angolo della residenza. Il rapace notturno, fin dall’antichità emblema della magia e della chiaroveggenza, divenne una sorta di ossessione per Giovanni Torlonia, che la volle nelle decorazioni, nel mobilio, nelle deliziose vetrate, nelle lunette, sui capitelli. L’ambiente più rappresentativo della personalità tenebrosa del principe è sicuramente la camera da letto, colma di elementi legati all’occultismo e agli affascinanti rapaci notturni: dal letto con pomelli ai lumi, dalla brocca per l’acqua alla stoffa da parati, questi ultimi sfortunatamente andati perduti. Rimane, al centro del soffitto, un grande rosone che rappresenta un misterioso volo di pipistrelli con le ali nere spiegate sullo sfondo di un cielo blu stellato.

A breve distanza da Villa Torlonia, alle spalle di piazza Buenos Aires, sorge il quartiere Coppedè, che prende il nome dall’eclettico architetto Gino Coppedè. Progettato e costruito dal 1915 al 1927, il complesso di 26 palazzine e 17 villini è un incredibile pastiche di Art Decò, stile Liberty, con influenze di arte greca, gotica, barocca e medievale. Un imponente arco, con un grande lampadario in ferro battuto e riccamente decorato con mascheroni, efebi e affreschi con cavalieri medioevali, rappresenta l’ingresso monumentale all’area e congiunge i due Palazzi degli Ambasciatori. Questi ultimi, con le loro facciate e torrette ornate da stemmi, personaggi mitologici, aquile e un’edicola votiva, sono il perfetto preludio a ciò che vi aspetta entrando nel bizzarro quartiere.
Oltrepassato il suggestivo ingresso, ci si ritrova nell’incantevole piazza Mincio, cuore dell’intera zona, al cui centro spicca la Fontana delle Rane, impreziosita appunto da 12 sculture di rane. Tutti gli edifici sono ricchi di elementi e simboli che evocano mitologia, tradizione e mistero: la Palazzina del Ragno, che deve il suo nome al grande ragno posto sopra il portone d’ingresso, di ispirazione assiro-babilonese, ornata con un dipinto raffigurante un cavaliere tra due grifoni e la scritta “Labor”; l’idilliaco Villino delle Fate, che tra giochi di luci e ombre, è un trionfo di decorazioni di divinità romane, stemmi, vasi di frutta, meridiane, dame e cavalieri, soli, l’albero della vita e i ritratti dei sommi poeti Dante e Petrarca; il Palazzo senza Nome, detto anche Palazzo Hospes Salve, su cui è incisa l’epigrafe latina “INGREDERE HAS AEDES QUISQUIS ES AMICUM ERIS HOSPITEM SOSPITO", la cui traduzione è “Entra in questa casa chiunque tu sia; Sarai un amico. Io proteggo l’ospite”. Siete pronti a varcare l’immaginario confine, lasciando l’energia della città per entrare in una fantasia fiabesca e magica?

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