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Memorie d’inciampo a Roma, le Stolpersteine

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Memorie d’inciampo a Roma, le Stolpersteine
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Passeggiando per le vie di Roma ci si può imbattere in un sampietrino davvero particolare: una targa in ottone lucente ricopre il blocchetto del lastricato tipico del centro storico di Roma. Spicca tra tutti gli altri creando un “inciampo” metaforico nella nostra mente, un inciampo nella memoria, nella storia, camminando per Roma.

Si tratta delle Stolpersteine, ovvero pietre d’inciampo, installate dal 1995 in tutta Europa dall’artista tedesco Gunter Demnig.

Tutto inizia nel 1990, quando una signora nega che a Colonia nel 1940 fossero stati deportati 1000 sinti, come prova generale per la deportazione degli ebrei. Gunter decide di dedicare la sua vita e il suo lavoro alla memoria di tutti i deportati, razziali, politici, militari, rom e omosessuali, in tutto il mondo.

Un modo discreto per mettere in pratica il suo progetto era il sampietrino. Una pietra che diventa monumento senza emergere dalla terra ma affondando all’interno di essa. Non s’impone, ma vi si inciampa casualmente. Sulla sua superficie sono riportati il nome della vittima della persecuzione nazifascista, il luogo dove visse, o dove, in molti casi, ebbe inizio la deportazione.

Sono oltre 22.000 le pietre tra Germania, Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi e in Italia. In particolare a Roma se ne contano più di 300. Si crea, così, un’insolita mappa della memoria nella quale chiunque può imbattersi casualmente, o intenzionalmente, se ci si muove sul filo della ricerca storica.

“Le pietre d’inciampo”, una volta installate, diventano parte integrante del tessuto urbano e della sua toponomastica. Una mappa urbana dove passato e presente, individuo e collettività, memoria privata e memoria pubblica si intrecciano.

Chiunque inciampi oggi in un sampietrino non può non soffermarsi, riflettere e interrogarsi su ciò che è stato, attivando un vero e proprio viaggio nella storia.

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Memorie d’inciampo a Roma, le Stolpersteine
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I chiostri

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I chiostri
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L’arte medioevale  a Roma sembra soffocata  dalla predominanza dell’ antico e dalla sontuosità rinascimentale e barocca. Ma, naturalmente, testimonianze di quel periodo sono presenti nel tessuto cittadino; magari nascoste.

Oggi, vi proponiamo una passeggiata alla scoperta di due chiostri; vere  meraviglie architettoniche, luoghi di spirituale riposo, nonché, memorie della perizia artistica delle famiglie medioevali dei marmorari romani. Il chiostro – dal latino claustrum, luogo chiuso – è un cortile quadrangolare, circondato da portici, sito all’interno di un monastero; svolge una funzione essenzialmente pratica: collega i vari ambienti del complesso monastico.

Il chiostro di San Giovanni in Laterano, opera della famiglia di marmorari romani Vassalletto, rappresenta un capolavoro dell’arte duecentesca. Iniziato verso il 1222 venne concluso nel 1232. E’ il più grande chiostro di Roma: a pianta quadrata, ogni lato misura 36 metri.

Elemento peculiare dell’ opera è l’assoluta assenza di reimpiego di frammenti antichi; i Vassalletto  crearono  ex novo, ispirandosi alla architettura classica, tutti gli elementi necessari. Le coppie di colonnine sono di foggia diversa: lisce, a spirale, intrecciate, intarsiate di mosaici lucenti.

Anche i capitelli risultano tutti differenti: a foglie intarsiate, con figure di personaggi oppure di animali veri o immaginari. Un ricco repertorio iconografico influenzato dalla tradizione araba, egizia, romana e dai bestiari medioevali. La sontuosa trabeazione esterna, impostata su più livelli, rappresenta l’ elemento più prezioso del chiostro.

Tra il  XVI e il  XIX secolo, furono trasportati nel chiostro vari resti di monumenti demoliti nell’ interno della basilica medioevale, oltre a iscrizioni, reperti e rilievi di epoca romana rinvenuti nell’ area del Laterano.

Spostiamoci ora verso la basilica di San Paolo fuori le Mura; ottima, allo scopo, la linea della  metropolitana. Il chiostro di San Paolo, costruito nel secondo decennio del XIII secolo e sfuggito miracolosamente all’incendio che nel 1823 ha devastato la basilica, è fra le più intatte testimonianze che il medioevo romano possa offrire.

Le colonnette sono di  una sorprendente varietà di forme e di colori; alcune, scolpite in marmo color crema, si contorcono come serpenti; altre, sono talmente incrostate di oro e di tessere color rosso e nero che non si distingue la pietra carica di mosaici. Spiccano, qua e là, delle note bizzarre, come i  mostriciattoli sfingiformi tra le colonnette. Una lunga iscrizione, in lettere azzurre su fondo oro, gira  su tre lati,  illustrando l’opera meravigliosa.

Il giardino appare curatissimo; roseti riuniti in aiuole delimitano i verdi praticelli, cespugli di lauro creano una nota di verde scuro al centro. Nel chiostro sono conservati frammenti architettonici provenienti dalla antica basilica e anche iscrizioni e cippi recuperati nel vicino cimitero romano – cristiano.

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