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Uno zoo di pietra
Una passeggiata per le vie del centro storico alla ricerca di animali simbolici
Per trascorrere una mattinata piacevole vi proponiamo una passeggiata per le vie del centro storico alla ricerca di animali simbolici che evocano miti e avvenimenti storici. In piazza del Campidoglio si ammira l’animale simbolo di Roma: la Lupa Capitolina che allatta Romolo e Remo, copia dell’originale in bronzo conservato nei Musei Capitolini. Ai piedi della cordonata che sale al colle, ci aspettano due Leoni egizi in basalto, nei tempi forati e trasformati in fontanelle; durante le feste solenni gettavano vino dei castelli invece dell’acqua.
Poco distante vicino Palazzo Venezia imbocchiamo via della Gatta, chiamata così poiché, proprio sul primo cornicione all’angolo di Palazzo Grazioli, si trova la statua di un felino egizio ritrovata a qualche metro di distanza nel vicino santuario di Iside. La leggenda racconta che nella direzione in cui guarda la gatta dovrebbe essere sepolto un tesoro, ancora nessuno è riuscito però a trovarlo.
Continuiamo la passeggiata e raggiungiamo piazza della Minerva dove troneggia un elefantino, chiamato familiarmente il Pulcin della Minerva, il nome sembra essere un ingentilimento della parola “porcin” dato dai romani alla statua perché ritenuta tozza.
Lasciato l’elefantino ci dirigiamo verso la chiesa di San Luigi dei Francesi, qui sulla facciata troviamo due enormi salamandre che eruttano fiamme. Emblema del re Francesco I di Francia, questo animale ci riporta ad un'antica leggenda secondo la quale la salamandra alimenta il fuoco benefico mentre spegne quello nocivo.
Poco distante, in piazza Sant’Eustachio, una testa di cervo con la croce fra le corna sovrasta la chiesa appunto di Sant’Eustachio. Una leggenda medievale, legata a questa statua, narra la storia di Placido, un comandante dell’esercito romano che si battezzò cambiando il suo nome in Eustachio dopo aver visto l’apparizione di una croce con l’immagine di Cristo fra le corna del cervo che stava per uccidere durante una battuta di caccia.
La chiesa barocca di Sant'Ivo alla Sapienza è ricca di simboli araldici: le aquile dei Borghese, i draghi dei Boncompagni e le api dei Barberini. Elemento dominante della chiesa, l’ape ricorre anche nella fontana progettata da Bernini, all’incrocio con via Veneto e piazza Barberini, dove troviamo tre api sormontate da una grande conchiglia.
Il nostro giro si conclude a piazza Mattei dove possiamo ammirare la fontana delle Tartarughe realizzata verso la fine del 1500 su progetto di Giacomo Della Porta è legata ad una romantica leggenda. Pare, infatti, che il duca Mattei volle dimostrare al padre della sua amata di essere un uomo potente, contrariamente a quanto questi ritenesse, facendo erigere la meravigliosa fontana davanti alle sue finestre nell’arco di una sola notte. Le tartarughe aggiunte successivamente, nel 1658, probabilmente da Bernini, sono state più volte rubate, ma sempre recuperate e rimesse al loro posto. Quando nel 1981, fu nuovamente rubata una tartaruga si decise di sostituirle con delle copie, mentre le tre superstiti originali sono conservate nei Musei Capitolini.
Fontana delle Tartarughe
Il cuore di Roma: Piazza Navona e Campo de' Fiori
Musei Capitolini
Spaghetti cacio e pepe
Una ricetta semplice ma carica di storia
Diversi sono i filoni che costituiscono la caratteristica dell’anima della cucina romanesca. Tra questi, quello della cucina, diciamo,”burina”, legata all’aspetto rustico, popolaresco di molti suoi piatti e agli ingredienti genuini provenienti in gran parte dall’orto e dal pascolo dell’agro romano, ne è una delle anime salienti e riscontra con le sue ricette molto successo. Basti pensare a tutti i modi di cucinare le carni, tra cui l’abbacchio, e alle famose ricette dei primi piatti, per cui i romani nutrono da sempre un amore sviscerato. Chi non conosce e non ha mai mangiato ricette come i bucatini all’amatriciana, le penne all’arrabbiata, le fettuccine alla romana, fatte in casa e dunque sode ed elastiche, e gli spaghetti alla carbonara?
A riscontro della secolare inclinazione dei romani verso i pascoli che hanno da sempre prodotto carni eccellenti, ci sono tutt’oggi delle ottime produzione casearie, alcune Dop come quella del pecorino romano e anche dei presidi slow food come quelli dedicati a due formaggi la cui origine risale alla Roma antica: il caciofiore della campagna romana e la marzolina.
Tra tutte le ricette secolari, vogliamo parlare di una semplice ma carica di storia, che si prepara in soli quindici minuti, molto saporita, che deve la sua fama agli ottimi formaggi di pecora che si producono in tutto il Lazio: gli spaghetti a cacio e pepe. Mettiamoci ai fornelli.
La ricetta: Spaghetti a cacio e pepe
Ingredienti (per 4 persone):
- 400 grammi di spaghetti
- 100 grammi di pecorino romano dop grattugiato
- Pepe nero (vogliamo suggerirvi quello del Pepe di Rimbàs dalla Malesia - Presidio Internazionale Slow Food)
- Sale q.b.
Preparazione:
Per ottenere una pasta cacio e pepe perfetta bisogna non solamente condire la pasta cotta con il formaggio grattugiato, ma miscelare poca acqua di cottura della pasta (ricca di amido) con il formaggio, in modo che questo si sciolga sino a formare una specie di crema, che è la particolarità di questa ricetta. In una terrina abbastanza capiente mettiamo tutto il pecorino romano dop e il pepe nero macinato, o meglio pestato nel mortaio al momento. Cuociamo la pasta in acqua bollente salata, scolala al dente con un mestolo forato per mantenere l’acqua di cottura. Versiamo la pasta nella terrina e aggiungiamo immediatamente un mestolo scarso di acqua bollente avanzata dalla cottura della pasta. Mescoliamo velocemente in modo che il formaggio si sciolga con l’acqua, aggiungendone se necessario. Serviamo immediatamente in un piatto possibilmente caldo e spolverando con altro pepe nero.
Quale tipo di pasta usare
La ricetta originale della pasta con cacio e pepe alla romana prevede l’utilizzo degli spaghetti ma negli anni le varianti sono diventate infinite, anche perché nella cucina di ogni giorno, la ricetta, si prepara spesso con quello che c’è in dispensa. Sono conosciute quindi versioni in cui si utilizzano i rigatoni, i tonnarelli o la pasta all’uovo, come ad esempio i tagliolini o gli spaghetti alla chitarra, che favorirebbero la cremosità del piatto.
Cimitero Monumentale del Verano
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Basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio
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La tradizione in tavola: la cucina ebraico-romanesca
Nella Capitale, possiamo trovare segni evidenti della millenaria presenza ebraica anche in alcuni piatti della tradizione romana. Nei secoli, le due storiche realtà gastronomiche si sono fuse, dando vita alle famose ricette della cucina ebraico-romanesca.
Da sempre, tale tradizione riserva un occhio di riguardo alla scelta delle materie prime; spesso "poveri" e stagionali, gli ingredienti di questa interessante contaminazione gastronomica sono trattati secondo i rigorosi precetti religiosi che identificano i cibi permessi, detti “kasher” in ebraico. Tendenzialmente a chilometro zero, la filiera è interamente controllata e sottoposta a verifiche che ne garantiscono la genuinità e la necessaria certificazione da parte dell’autorità rabbinica esterna. Tanta attenzione permette di conoscere la composizione esatta dei piatti, facilitando la vita anche a tutti coloro che hanno intolleranze alimentari.
Le gustose ricette ebraico-romanesche derivano da una cucina a carattere prevalentemente familiare, tramandata nel corso dei secoli, che, nel tempo, si è adattata alla cultura e ai prodotti locali con la creazione di piatti unici e inconfondibili.
Le ricette, che possiamo gustare nei ristoranti e nelle osterie tipiche romane, sono per lo più legate alla stagionalità e alle feste religiose. Tra queste citiamo i carciofi alla giudia, i fiori di zucca fritti, la caponata di melanzane, il polpettone di patate e tonno, le coppiette di carne secca, le animelle con i ceci, che derivano dalla tradizione ebraica del quinto quarto, e il pane del Shabbat a forma di treccia.
Le pietanze da preparare in famiglia e nei momenti di convivialità con gli amici sono numerose. Vi suggeriamo due ricette tra le più conosciute e apprezzate.
Un piatto semplice e appetitoso: il Tortino con Aliciotti e indivia
Questa antica prelibatezza combina il sapore delicato delle alici con il gusto leggermente amaro dell’indivia. Da consumare sia tiepido che freddo, il tortino di aliciotti e indivia è uno sformato cotto al forno di facile realizzazione, in cui si alternano le alici fresche, un pesce economico ricco di minerali, proteine e Omega 3, e l’indivia, tipica verdura della campagna romana.
Ingredienti per 4 persone:
- 800 g di acciughe fresche;
- 1 kg di indivia riccia romana;
- 2 spicchi d’aglio;
- 3 cucchiai di evo;
- sale e pepe.
Mondate l’indivia scartando il torsolo e le foglie esterne più dure e sciupate, quindi lavatela ripetutamente sotto l’acqua corrente e asciugatela e tagliuzzatela grossolanamente. Salatela e mettetela in un colapasta per un paio d’ore in modo che perda parte dell’acqua di vegetazione.
Staccate la testa delle acciughe, apritele lasciandole attaccate sul dorso e togliete la lisca e le interiora. Lavatele e adagiatele su un doppio strato di carta da cucina per asciugarle. Ungete con poco olio una pirofila a pareti alte del diametro di 24 cm e disponetevi le acciughe in un solo strato. Insaporitele con sale e pepe e con qualche fettina d’aglio e coprite le acciughe con parte dell’indivia. Proseguite con gli strati fino ad esaurimento degli ingredienti, versando l’olio sull’ultimo strato che dovrà essere di verdura. Mettete la teglia nel forno precedentemente scaldato a 200° e lasciate cuocere per circa 40 minuti. Servite la preparazione tiepida. La ricetta originale prevede di usare l’indivia al naturale ma in questo caso la preparazione risulta un po’ acquosa.
Un dolce fine pasto: la Crostata di ricotta e visciole
Tra i piatti legati alla forte tradizione a carattere prevalentemente familiare, tramandata oralmente nel corso dei secoli, la crostata di ricotta e visciole è un grande classico. L’avete mai assaggiata? Se vi trovate a Roma dovete assolutamente provare l’originale al Ghetto, recandovi in uno dei suoi celebri forni storici.
Per realizzare la base di frolla:
- 400 g di farina 00
- 200 g di zucchero
- 200 g di burro a temperatura ambiente
- 4 tuorli d’uovo
- scorza di limone
Per realizzare il ripieno:
- 400 g di ricotta
- 120 g di zucchero
- 1 uovo
- 2 cucchiai di sambuca
- 1 vasetto di confettura di visciole (o ciliegie se non riuscite a trovare quella di visciole), 350 gr. circa
Per la frolla, fate una fontana con farina e zucchero, poi tagliate a pezzetti il burro e mettetelo al centro della fontana. Aggiungete i tuorli sopra il burro e impastate tutti gli ingredienti il più velocemente possibile fino a formare una palla liscia. Avvolgete la pasta frolla nella pellicola da cucina e lasciatela riposare in frigorifero per almeno 30 minuti prima di utilizzarla.
Quando la frolla è fredda, imburrate e infarinate una teglia da 24 cm. A questo punto schiacciate l’impasto sul fondo e tenetene da parte abbastanza per fare le strisce decorative della crostata da disporre sulla superficie del dolce. Spalmate uno strato di marmellata sulla frolla cruda. In una ciotola, a parte, mescolate la ricotta con lo zucchero, l’uovo e il liquore, poi versate il composto nella teglia.
Decorate il dolce con le strisce di pasta frolla come per una crostata e infornate a 180°, per circa un’ora, fino alla completa doratura. Il tempo di cottura dipende anche dalla larghezza dello stampo e dallo spessore della frolla e della crema, quindi, controllate ai 45 minuti e poi lasciate cuocere ancora il dolce se non è ben cotto. Raffreddate infine il dolce e conservatelo in frigorifero fino al momento di servirlo.
Maggiori informazioni sui locali e i ristoranti Kosher sul sito Roma Ebraica
Le vie del gusto
La cucina tradizionale
Pomodori con il riso
Fragole e fragoline di Nemi
Nell'antica Roma, questi gustosissimi frutti venivano mangiati tradizionalmente alle feste in onore di Adone, alle idi di giugno. La tradizione pagana si mantenne sino alla Roma dei Papi, dando luogo a festeggiamenti noti come il “Trionfo delle Fragole”, che si svolgevano a Campo de' Fiori il 13 giugno. Durante l'evento, le fragolare, le donne che raccoglievano il frutto, preparavano un grande canestro, ponendovi al centro la statua di Sant'Antonio e disponendovi intorno panieri colmi di fragole che, a chiusura della festa, venivano distribuite ai presenti.
Le campagne romane e del Lazio ci regalano diverse varietà di fragole saporite e dolcissime; tra le più note, troviamo quella di Carchitti o la favetta di Terracina, con dimensioni e gusti diversi tra loro.
Per il romano, però, la fragola è in assoluto quella di Nemi: piccola e gustosa tanto da essere denominata “fragolina”, proveniente dai Castelli Romani e sin dall'antichità venduta sui banchi della frutta di Roma, da maggio a ottobre.
A questa deliziosa varietà, dedichiamo una ricetta tradizionale: il Fragolino di Nemi, che prevede che le fragoline siano raccolte rigorosamente a mano, per conferire al liquore un sapore dolce e aromatico.
La ricetta: Fragolino di Nemi
Ingredienti (dosi per 4 persone):
- 1 kg di fragoline di bosco di Nemi
- 1 litro di alcool a 95°
- 1 litro di acqua
- 750 grammi di zucchero
Preparazione
Si lasciano in infusione le fragoline nell'alcool per un mese. Trascorso questo tempo, si filtra il tutto e si unisce allo sciroppo, ancora tiepido, preparato con 1 litro di acqua e 750 g di zucchero.
Si lascia riposare per un altro mese, dopo di che è pronto per essere gustato.