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La cucina tradizionale

La cucina tradizionale

Le vie del gusto passano per i quartieri “popolari” dove è rimasta viva la tradizione: Trastevere e Testaccio, più centrali, ma anche i quartieri di Garbatella, San Lorenzo Ostiense pullulano di trattorie. La sera diventano la meta privilegiata per trovare locali e osterie storiche, che poco concedono alla moda della rivisitazione dei piatti e richiamano atmosfere dove gli odori delle pietanze si confondono con suggestioni di carbonari, artigiani, popolane che lottavano per affermare la propria esistenza, ai margini delle ville e delle dimore principesche.

Il quinto quarto: il posto d'onore nella cucina romanesca

Questa è Roma: mescolanza di una raffinata nobiltà e un popolo schietto, abituato a sopravvivere con la sua condizione reale e la potenza evocativa di una città per secoli capitale del mondo, e che ne ha mantenuto l’identità più autentica anche nella trasmissione della tradizione culinaria. Non è un caso che il posto d’onore nella cucina romana, anzi romanesca, spetti al cosiddetto quinto quarto, le frattaglie, cioè tutte le interiora o le parti meno pregiate di bovini e ovini, che non avevano accesso sulle tavole delle classi più agiate, ed erano quindi destinate allo scarto. Parliamo di trippa, rognoni (i reni), cuore, fegato, milza, animelle e schienali, cervello, lingua e coda, o la coratella, l'insieme di fegato, polmoni, cuore.

Con questi semplici ingredienti sono stati elaborati piatti straordinari per gusto e delicatezza che, nonostante l’umile provenienza, accarezzano il palato: i rigatoni con la "pajata" o con il rognone, la coratella con i carciofi o con la cipolla, la trippa alla romana, la coda alla vaccinara, lo stufatino alla romana, i saltimbocca, sono solo alcune delle vere prelibatezze che offre il ricco parterre delle pietanze capitoline. Fra le parti povere del manzo, due piatti di antica origine popolare che ancora si trovano nelle osterie romane sono la milza in umido, insaporita con salvia, aglio, aceto, acciuga e pepe, e il rognone al pomodoro, cotto con un sugo di cipolla, pomodori, prezzemolo, vino bianco e pepe.

Una vera rarità, anche se non è un piatto a base di frattaglie, è il garofolato di manzo, un arrosto di girello di manzo farcito con pezzetti di lardo, chiodi di garofano, aglio a fettine, cotto a fuoco lento per un paio d'ore, con cipolla, olio e burro in un tegame con sedano e pomodoro. Il sugo del garofolato era anche usato per condire la trippa alla trasteverina, che veniva poi passata in forno arricchita con pecorino grattugiato e un battuto di menta.

Il quartiere Testaccio conserva quasi intatta la sua origine popolare e il ricordo di come, in passato, i macellai che lavoravano nel mattatoio venivano pagati parte in moneta, parte con gli scarti della macellazione, cioè con il quinto quarto. Non ultime in questa breve lista, le lumache, must della gastronomia francese, a Roma sono proposte in versione casereccia ma non per questo meno gustose. Le lumache alla romana, dette anche "di San Giovanni", venivano preparate dagli osti nella notte fra il 23 e il 24 giugno e servite al popolo sulla piazza antistante la basilica, durante la grande festa in onore del santo. La tradizione ha origine da un'antica ricorrenza in onore della dea Cerere, per ingraziarsi la fortuna e l’abbondanza e scacciare le divinità avverse. Dedicata in seguito a San Giovanni, mantiene la sua funzione propiziatoria: le corna delle lumache, infatti, simboleggiano il diavolo, quindi il male. Nel diciannovesimo secolo, il 24 giugno diventa anche una festa di pace, in cui si organizzano numerosi banchetti, detti "banchetti della concordia" o "banchetti della pace", in cui vengono servite le lumache.

Le origini lontane di minestre e paste asciutte con ingredienti a km 0

In una cucina povera ma succulenta come quella romana, descritta soprattutto nell’800 da artisti, poeti e scrittori che raccontarono dal vivo scene di vita popolare, sono protagoniste anche le minestre e le paste asciutte che, come tutto a Roma, hanno origini lontane. Le Polente di farro, le fave, l'orzo, le pultes, erano le minestre degli antichi; di laganum, sottile sfoglia di pasta fatta di acqua e farina e spianata con il mattarello, andavano ghiotti Cicerone e Orazio già nel primo secolo a.C. 

Per tornare a oggi, in primavera, le fave sono protagoniste nella vignarola, primo piatto della cultura contadina romana a base di fave fresche, piselli, carciofi, lattuga, guanciale, cipolla. Ottime zuppe di verdure e di legumi, proposte anche durante le festività, stracciatella, brodetto di pasqua, cappelletti in brodo, vengono serviti in tutti i ristoranti della città, insieme alla pasta conosciuta in tutto il mondo che in pochi riescono a imitare.

La forza della cucina romana è quella di usare ingredienti e condimenti provenienti dal territorio. Le magnifiche verdure: broccoli, cicorie, carciofi, pomodori, fave e le fresche e croccanti puntarelle, il contorno perfetto e immancabile sulle tavole romane, soprattutto nei giorni di festa; la grande varietà di latticini, saporiti e genuini; le squisite e teneri carni che provengono generalmente dall’agro romano, la fertile campagna che circonda la città e che da sempre la rifornisce. Guanciale, pancette, verdure, legumi, ci restituiscono piatti ormai ‘mitici’, pasta e fagioli con le cotiche, pasta e broccoli, spaghetti alla carbonara, bucatini alla matriciana, la gricia, ma anche fettuccine alla romana o alla papalina, insieme ai ravioli di ricotta, pietanze spesso completate con il pecorino romano. E per finire le penne all’arrabbiata, olio d’oliva, aglio, pomodoro e tanto tanto peperoncino: arrabbiata infatti sta per piccantissimo. La lista poi degli spaghetti è lunga, quasi come la "camicia di Meo", alla carrettiera, alla puttanesca, alla checca, alla bersagliera. Che fame!

Il cibo a Roma è una festa che si ripete ogni giorno in tutta la città, ma assaporare una “gricia” o una “carbonara” a Trastevere, a Borgo, all’ombra del Cupolone, o a Monti, il rione più antico, è tutto un altro mangiare!

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