Imponente e monumentale: due sono gli aggettivi che più sembrerebbero adatti a descrivere il patrimonio architettonico di Roma nei suoi oltre 2.000 anni di storia. Ci sono opere che già dal nome con cui sono conosciute non lasciano dubbi sulle loro dimensioni, pensiamo per esempio al Colosseo, al Circo Massimo o alla Mole Adriana. A Roma, insomma, gli architetti sono sempre stati abituati a pensare “in grande”.
Il tessuto urbano nasconde però anche ricami preziosi, opere in scala ridotta che risplendono di una luce particolare, che colpiscono la vista o l’immaginazione a dispetto delle loro dimensioni e che racchiudono un’infinità di suggestioni. In fondo, diceva lo scultore Giacometti, “ci sono più possibilità di farsi un’idea dell'universo facendo una cosa alta mezzo centimetro che nel cercare di rifare il cielo intero”.
Per cominciare a riscoprire la grande bellezza delle piccole cose, vi presentiamo sette capolavori “extra-small”, nella certezza che, almeno in arte, a contare veramente sono le proporzioni e il perfetto equilibrio tra gli elementi. Piccolo è bello, a volte meraviglioso.
#1 San Benedetto in Piscinula
Affacciata su Piazza in Piscinula, il cui nome deriva probabilmente dalle piscine delle antiche terme romane, è una chiesa in miniatura dedicata al santo di Norcia e sorta, secondo la leggenda, nel lontano 543 sulle rovine della casa degli Anici, una nobile famiglia romana presso cui San Benedetto avrebbe dimorato. Malgrado le ridottissime dimensioni, la chiesa custodisce importanti tesori storico-artistici, primo fra tutti il pavimento cosmatesco in porfido e serpentino originale del XII secolo, che testimonia l’importanza della chiesa nella Roma medievale. Con la sua atmosfera intima e raccolta, San Benedetto ha un paio di primati da vantare sulle altre chiese della città: decorato da minuscole bifore sostenute da una colonnina, il bel campanile romanico del XII secolo è il più piccolo della città e al suo interno conserva la campana più antica di Roma, fusa nel 1069 e con un diametro di appena 45 cm.
#2 San Giovanni in Oleo
Su via di Porta Latina, a ridosso dell’antica porta romana, una cappellina ottagonale poco appariscente rischia di sfuggire alla nostra attenzione. La sua semplice eleganza deriva da una paternità non certa ma illustre. Costruita nella Roma di Giulio II a spese del prelato francese Benedetto Adam (ricordato su una delle porte dalla scritta “Au plaisir de Dieu”, “A Dio piacendo”) e attribuita a Bramante, ad Antonio da Sangallo il Giovane o a Baldassarre Peruzzi, nel 1658 fu restaurata da Borromini, che ne modificò la copertura aggiungendo un tamburo con una fascia decorata da rose e palme e un grande globo di sei rose. Degli stessi anni è il ciclo di affreschi al suo interno, con San Giovanni immerso in una vasca di olio bollente, “in oleo” per l’appunto. La tradizione vuole infatti che qui avvenne il tentato martirio del santo: era l’anno 92 d.C. e la folla che assisteva, terrorizzata dal vederlo uscire illeso e convinta di avere a che fare con un mago, implorò Domiziano di salvargli la vita. San Giovanni fu così esiliato sull’isola di Patmos, dove scrisse l’Apocalisse.
#3 Tempietto del Bramante
L’idea di perfezione applicata all’architettura: costruito da Bramante nel primo decennio del Cinquecento per il re di Spagna, fu giudicato da subito un vero capolavoro e rimane tuttora uno degli esperimenti più compiuti del sogno rinascimentale. Ispirato all’arte classica romana e circondato da 16 colonne in granito grigio, numero riconosciuto come perfetto da Vitruvio, fu edificato al centro di uno dei cortili del complesso di San Pietro in Montorio – oggi parte della Reale Accademia di Spagna – per celebrare il martirio di San Pietro, avvenuto secondo una tradizione tarda proprio sul Gianicolo. Il diametro della cella è di appena 4 metri ma l’armonia delle proporzioni tra diametro e altezza, l’equilibrio delle parti e la purezza delle linee sono tali da far dimenticare le sue vere dimensioni e da farlo apparire, nonostante tutto, monumentale. Al di sotto del tempietto, vi è una straordinaria cripta anche essa circolare, il cui centro indica il luogo dove sarebbe stata piantata la croce del martirio di San Pietro.
#4 San Carlo alle Quattro Fontane
Ingegnosamente realizzata nelle dimensioni di uno dei pilastri della cupola di San Pietro, è tra i capolavori del barocco romano e di Francesco Borromini, chiamato nel 1634 dai Padri Trinitari Spagnoli per il restauro della loro chiesa. Il risultato superò ogni aspettativa: impossibile non rimanere incantati dal minuscolo e candido chiostro a pianta ottagonale, dalle superfici concave e convesse che si succedono nella facciata, o dal piccolo ed elegante campanile con cuspide a pagoda. Ma quello che colpisce di più è forse, all’interno della chiesa, la cupola ovale, un puzzle di ottagoni, esagoni e croci deformati prospetticamente che danno l’impressione di uno spazio molto più ampio e dilatato di quanto in realtà non sia, inondato di luce da una lanternina sulla cui sommità scorgiamo la colomba dello Spirito Santo come in un’apparizione soprannaturale. Davanti a tanta bellezza ci si dimentica completamente delle dimensioni effettive dell’edificio, talmente piccolo da meritarsi l’affettuoso diminutivo di San Carlino.
#5 Tempietto di Diana a Villa Borghese
Tra le terrazze, le statue, le fontane e i musei racchiusi negli 80 ettari di Villa Borghese, c’è anche un piccolissimo ed elegante tempio di forma circolare e in stile neoclassico. Attribuito ad Antonio Asprucci e al figlio Mario e datato 1798, fu fatto costruire dal principe Marcantonio IV Borghese, il più munifico mecenate della Roma del Settecento, che trasformò la villa voluta dal cardinale Scipione Caffarelli Borghese in un grande giardino alla moda. In questo caso a fare da ispirazione sono il Tempio di Vesta o il Tempio dell’Amore nel Parco di Versailles, modelli rielaborati con grazia e finezza: così, nonostante la scala ridotta e la semplicità delle forme, l’effetto scenografico è assicurato. Otto colonne di marmo bigio, che poggiano su quattro gradini circolari, sostengono una cupola sormontata da una pigna. All’interno, su un basamento ancora oggi presente, era posta una statua a grandezza naturale di Diana, una copia romana di un originale greco restaurata dalla bottega di Vincenzo Pacetti. La statua è oggi al Louvre: a ricordare la dea rimane l’iscrizione sull’architrave “NOCTILVCAE · SILVARVM · POTENTI”, alla dea della luce notturna, signora delle foreste.
#6 Santa Maria dell’Archetto
Il suo nome ufficiale è Santa Maria Causa Nostrae Laetitiae ma è nota popolarmente come la Madonna dell’Archetto: a ospitarla è il santuario mariano più piccolo di Roma, e forse del mondo. Sconosciuta al grande pubblico per la sua posizione defilata in fondo a un vicoletto, la chiesetta ha una storia singolare: fu infatti costruita nel 1851 nel luogo esatto dove, dalla fine del Seicento, era venerata un’immagine della Madonna murata sotto un archetto tra due palazzi. Ritenuta ben presto miracolosa, l’immagine raggiunse l’apice della fama il 9 luglio 1796, quando insieme ad altre Madonnelle della città fu vista ruotare ripetutamente gli occhi, diventando meta di un vero e proprio pellegrinaggio. La minuscola chiesa è un capolavoro di architettura neorinascimentale, ricca di marmi preziosi e di sculture, opera dell’architetto Virginio Vespignani che riuscì a darle l’aspetto di una piccola basilica. Una curiosità: gli affreschi della volta e della minuscola cupola sono di Costantino Brumidi, detto il “Michelangelo degli Stati Uniti” e autore delle opere che adornano la cupola del Campidoglio a Washington.
#7 Cinema dei Piccoli
Il fascino e la grazia delle favole racchiusi in poco più di 70 metri quadri: nato per far divertire e sognare un pubblico “piccolo” sotto ogni punto di vista, il Cinema dei Piccoli ha tutte le carte in regola per essere incluso tra le opere d’arte cittadine, se lo si sa guardare con la meraviglia e lo stupore di chi è (rimasto) almeno un po’ bambino. La sua storia comincia nel 1934, quando nei giardini di Villa Borghese fu allestita una piccola sala, presto ribattezzata dai romani “Casa di Topolino”, che ospitava proiezioni di cartoni animati e spettacoli comici utilizzando un lenzuolo come schermo. Anche se la Disney si oppose all’utilizzo del nome, l’immagine di Topolino armato di cinepresa fu mantenuta accanto all’insegna fino agli anni Settanta. Ristrutturato tra gli anni Ottanta e Novanta, dal 2005 è entrato a far parte del Guinness dei Primati come il cinema più piccolo del mondo. Il suo schermo è di soli 5×2,5 metri e la sua sala conta appena una sessantina di posti, tutti contenuti in una piccolissima casetta di legno con il tetto spiovente.