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Sette chiese per sette arti e mestieri

Santa Barbara dei Librai

Una realtà variegata che ha dato vita a un patrimonio di storie e tradizioni: le vie di Roma portano ancora oggi le tracce degli antichi mestieri e delle arti che vi si esercitavano, ma non sono le sole. Basta salire sul Campidoglio: albergatori, muratori, fornai e sarti, per fare solo qualche esempio, avevano qui le sedi ufficiali delle loro corporazioni e a ricordarli rimangono iscrizioni e simboli. 

In una città legata poi a doppio filo alla religione, vien da sé che, oltre a un elaborato sistema di statuti, ogni corporazione (o Università, dal momento che raccoglieva l’universo di coloro che svolgevano la medesima professione) avesse anche un proprio cardinale protettore, un santo patrono e naturalmente una chiesa, talvolta con un annesso oratorio e ospedale. Amministrate spesso dalle confraternite religiose nate in seno alle corporazioni, le chiese furono per secoli i principali luoghi di aggregazione, dove ci si riuniva per assistere alle funzioni ma anche per trattare gli affari. Noi ve ne presentiamo sette, per tuffarci in una Roma non del tutto sparita e riscoprirne il fascino, la bellezza e la storia. 

#1 Fornai, Santa Maria di Loreto

Il più antico statuto della corporazione dei fornai risale al 1318, anche se l’Università – che comprendeva anche i ciambellari, i misuratori e i portatori di grano – si costituì ufficialmente alla metà del Cinquecento. Alcuni anni prima i “fornari” romani avevano acquistato un terreno proprio nell’area dove l’imperatore Traiano aveva posto il mercato delle farine e delle granaglie: la piccola chiesa che vi sorgeva, e che custodiva un’antica immagine della Madonna di Loreto, fu presto fatta abbattere per fare posto a un nuovo edificio. A occuparsi della sua costruzione fu Antonio da Sangallo, che progettò un grande basamento quadrato sormontato da un alto tamburo ottagonale. Circa settant’anni dopo, i lavori furono infine completati con l’elaborata cupola e il campanile di Giacomo Del Duca. A fianco alla chiesa, l’Università aveva fatto fabbricare un ospedale dove ricoverare e assistere i fornai poveri malati. Per non disturbare i degenti, il transito nella strada che lo costeggiava era proibito alle carrozze. La corporazione fu tra le prime a essere soppressa nel 1800 ma la confraternita religiosa rimase attiva: il Pio Sodalizio dei Fornari Italiani ancora oggi ha sede nell’edificio alle spalle della chiesa e celebra il 10 dicembre di ogni anno la ricorrenza della traslazione della Santa Casa di Loreto. 

#2 Librai, Santa Barbara dei Librai

Nel lungo elenco dei patronati della popolare santa – artificieri, artiglieri, vigili del fuoco, minatori, architetti, muratori, campanari, ombrellai – i librai non figurano e fino al 1500 la piccola chiesa oggi in posizione scenografica in fondo all’omonimo largo era conosciuta ancora con il nome di Santa Barbara alla Regola. Nel frattempo però i librai, che avevano in quest’area il loro quartiere preferito, erano cresciuti di molte unità e avevano dato vita a una corporazione e a una confraternita, che riuniva in un primo tempo anche legatori e stampatori. Ottenuta da Papa Clemente VIII la chiesa, la intitolarono anche a san Tommaso D’Aquino, loro patrono, e si impegnarono nel suo rilancio. Acquistarono per 400 scudi le vicine case distrutte da un incendio e ampliarono il largo antistante; poi, nel 1679, appena riconosciuti come Università, avviarono il rifacimento della chiesa grazie al generoso finanziamento del libraio Zenobio Masotti. All’interno della chiesa, rimasta sede della confraternita fino al suo scioglimento nel 1878, una botola conduce al luogo di sepoltura di alcuni librai, contrassegnato da un’eloquente iscrizione: “SODALIBUS BIBLIOPOLIS DONEC APERIATUR LIBER ÆTERNITATIS”, “per i confratelli di Bibliopoli, finché non si aprirà il libro dell’eternità”. 

#3 Macellai, Santa Maria della Quercia

La chiesa rimanda immediatamente, nell’intitolazione, al santuario fatto costruire a Viterbo per custodire un’immagine miracolosa della Vergine dipinta su una tegola e appesa inizialmente tra i rami di una quercia. E furono proprio i viterbesi residenti a Roma – per lo più mercanti di bestiame o macellai che si erano stabiliti nel rione Regola – a chiedere e ottenere, all’inizio del Cinquecento, una piccola chiesa nei pressi di Campo de’ Fiori per portarvi il suo culto. La chiesetta divenne subito dopo la sede ufficiale dell’Università dei “macellari”, che includeva in origine anche pizzicaroli, norcini e caprettari: nel 1532 papa Clemente VII ne concesse ufficialmente e definitivamente la proprietà alla loro confraternita, posta per l’appunto sotto la protezione della Madonna della Quercia. Più volte restaurata grazie ai contributi dei confratelli, la chiesa fu infine riedificata nel Settecento, epoca a cui risale la deliziosa facciata rococò che vediamo ancora oggi. Otre a svolgere attività caritative e assistenziali, la confraternita godeva del privilegio di liberare un condannato a qualsiasi pena: fu proprio grazie alla sua intercessione che Benvenuto Cellini scampò al boia. Nel 1801 Pio VII abolì l’Università: a gestire la chiesa rimase solamente la confraternita, ancora oggi attiva.

#4 Orefici, Sant’Eligio degli Orefici

Orefici, fabbri e sellai facevano parte in origine di un’unica corporazione che si riuniva nella chiesa di San Salvatore alle Coppelle. Si separarono all’inizio del Quattrocento, pur mantenendo in comune il santo protettore – Eligio, vescovo di Nojon e grande orafo – e gli spazi della sede. Circa un secolo dopo, però, la ricca Università degli Orefici decise di acquistare un terreno sulle rive del Tevere per costruirvi una nuova chiesa e tagliare gli ultimi legami con gli antichi compagni. Approvato da Giulio II nel 1509, il progetto della sua realizzazione fu affidato a Raffaello: alla sua morte, Sant’Eligio era ancora poco più che un cantiere e i lavori furono proseguiti prima da Baldassarre Peruzzi e poi da Bastiano da Sangallo. Più volte radicalmente ristrutturata negli anni a seguire a causa delle rovinose piene del Tevere, la piccola chiesa ha mantenuto la sua impronta rinascimentale nella semplicità e nella purezza delle linee, ed è ancora oggi sede del Nobil Collegio dei Gioiellieri Orefici ed Argentieri. L’Università, di cui fece parte anche Benvenuto Cellini, svolse per quasi quattro secoli funzioni di rilievo, occupandosi per esempio del controllo della emissioni della zecca pontificia: ritenuta utile al bene pubblico, fu così esclusa dall’abolizione generale delle corporazioni nel 1801. 

#5 Palafrenieri pontifici, Sant’Anna dei Palafrenieri

Palafreni” erano i cavalli da parata e fin dall’Alto Medioevo i Palafrenieri si occupavano per l’appunto delle scuderie papali – e della mula bianca montata da ogni nuovo pontefice – anche se nella loro lunga storia finirono per acquisire privilegi e titoli. Da sempre devoti a sant’Anna, quando nel 1378 si riunirono in una confraternita, la scelsero come patrona, intitolandole poi la nuova chiesa realizzata per loro dal Vignola, una sorprendente ellissi inserita in un rettangolo. Nella Roma papalina, qui terminava la cosiddetta “Processione delle panze”: nel giorno della festa della santa, i Palafrenieri scortavano da Santa Maria in Portico in Campitelli le donne prossime al parto. Chiudeva la processione la statua con la Vergine e sant’Anna, oggi nella chiesa di Santa Caterina della Rota, sede della confraternita dal 1929, quando Sant’Anna dei Palafrenieri fu trasformata in parrocchia. Parte della notorietà dei Palafrenieri è legata però anche a un “gran rifiuto”: la famosa tela commissionata nel 1606 a Caravaggio e giudicata forse poco consona, vuoi per il Gesù Bambino nudo troppo cresciuto, vuoi per l’aspetto da popolana della Madonna o per quello dimesso di una rugosa sant’Anna. La “Madonna dei Palafrenieri” fu così acquistata dal cardinale Scipione Borghese per la collezione di famiglia, di cui fa parte tuttora. 

#6 Pittori, Santi Luca e Martina

Sul frontespizio degli statuti quattrocenteschi dell’Universitas picturae [ac] miniaturae è raffigurato san Luca che riceve le nuove regole dell’Arte: al santo evangelista, medico nonché pittore secondo la tradizione, era dedicata anche la chiesa sull’Esquilino dove la compagnia si riuniva inizialmente, fatta poi demolire da Sisto V. Nel 1588 l’Università accettò così in cambio, come sede, Santa Martina nel Foro romano, a patto di includere anche il proprio patrono nel nome. Pochi anni dopo, fu ufficializzato il passaggio da Università in Accademia: l’Accademia delle Arti della Pittura, della Scultura e del Disegno, alla quale nel Seicento furono ammessi anche gli architetti. La trasformazione della diruta chiesetta in un capolavoro del barocco inizia nel 1634, grazie a Pietro da Cortona, che l’amava tanto da considerarla la sua “figlia diletta” e da lasciarle, nel testamento, una rendita annuale. Ricostruita dalle fondamenta, la chiesa assunse l’aspetto attuale: uno spazio cruciforme sormontato da un’alta cupola e circondato da fasci di pilastri e colonne. La chiesa appartiene ancora oggi all’Accademia di San Luca che, seguendo la tradizione, si occupa di promuovere e valorizzare le belli arti, assegnando borse di studio – una consuetudine nata già nel 1595 – e organizzando esposizioni.  

#7 Speziali, San Lorenzo de’ Speziali

Predecessori dei moderni farmacisti, gli aromatarii o speziali preparavano medicinali a base vegetale, oltre a vendere spezie, profumi, essenze e tinture. A Roma erano organizzati nell’Universitas Aromatariorum Urbis e godevano di una particolare autonomia professionale, tanto da svolgere funzioni paragonabili a quelle di un ministero della sanità. A istituire il collegio era stata la bolla di Martino V del 1429, che aveva concesso all’Università una chiesa perché vi erigesse il proprio ospedale: San Lorenzo in Miranda, sorta già forse nel VII secolo nel Tempio di Antonino e Faustina, il presunto luogo del martirio di san Lorenzo. Preceduta da sei colonne romane di marmo cipollino, la chiesa è oggi un mix sorprendente di architettura classica e forme barocche, dopo aver subito nel corso dei secoli molte modifiche: per far ammirare all’imperatore Carlo V le rovine dell’età classica, nel 1536 furono per esempio demolite le costruzioni a ridosso dell’edificio; poi, nel 1602, l’Universitas Aromatariorum la riedificò dalle fondamenta. L’antico ospedale fu demolito ai primi del Novecento, ma la chiesa è ancora oggi di proprietà del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico, denominazione che assunse nel 1860, e i suoi archivi conservano anche un breve manoscritto di Raffaello Sanzio e bellissimi disegni di anatomia umana di Pietro da Cortona.

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