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L’irresistibile perfezione del broccolo romanesco

Un “superfood” dal fascino geometrico

Leggero e dal gusto intenso, con la sua veste verde chiaro brillante è di una bellezza scenografica ipnotizzante: già, perché il broccolo romanesco è quasi da mangiare prima con gli occhi che con il palato. Anzi, è proprio una di quelle opere d’arte che solo la natura sa creare, con una geometria perfetta basata sui frattali e sulla sequenza di Fibonacci. A dargli la sua caratteristica struttura piramidale sono infatti le sue tante piccole rosette disposte a spirale, che riproducono la forma principale ripetendosi con regolarità su scale diverse. Ogni singola rosetta è insomma un broccolo in miniatura e, cosa ancora più stupefacente, il loro numero rientra nella nota successione del matematico pisano del XIII secolo, in cui ogni cifra è il risultato della somma delle due precedenti. Quella estetica non è però certo la sua unica virtù. Ricco di sali minerali e antiossidanti, fibre e vitamine, questo ortaggio dall’anima romana è un vero e proprio toccasana per la salute, grazie alle sue straordinarie proprietà nutritive e benefiche note fin dall’antichità.

Alla conquista del mondo

I broccoli appartengono alla stessa famiglia di cavoli e cavolfiori e sono probabilmente originari del Mediterraneo orientale, da dove in epoca remota si sono diffusi nel mondo greco-romano riscuotendo un successo inarrestabile. Oltre a essere apprezzati per il loro sapore, erano utilizzati anche a fini terapeutici, come “provvidenziale medicina” per curare i più svariati disturbi, dalle ulcere ai raffreddori. I greci estraevano i suoi principi attivi realizzando un decotto con le sue foglie, da bere caldo o freddo per purificare l’apparato digerente e curare eventuali infiammazioni. I Romani, stando alla raccolta di ricette del gastronomo Apicio, li facevano bollire insieme a una miscela di spezie, cipolla, vino e olio o li servivano con salse cremose preparate con erbe aromatiche. Ma si racconta anche che usassero mangiarli crudi prima dei banchetti per far sì che l’organismo assorbisse meglio l’alcol. E sempre ai Romani si deve il loro nome – dal latino brachium, ovvero braccio, ramo o germoglio – passato quasi inalterato nella gran parte delle lingue europee, dall’inglese allo spagnolo.

Chiamami broccolo

Anche se la selezione della varietà che oggi conosciamo risale effettivamente all’Ottocento, i broccoli romaneschi hanno rapidamente invaso e conquistato tutta la campagna intorno alla città. E il legame con la società locale è così forte e sentito che a Roma, quando si parla di broccolo, nessuno mette in dubbio che si tratti di quello romanesco, ieri come oggi protagonista sulla tavola ma non solo. Da un torso del nostro broccolo deriva il soprannome “Torzetto” affibbiato dal poeta Giuseppe Gioacchino Belli all’ortolano romano “a li Serpenti”, raccontato nel sonetto “Er testamento der Pasqualino” del 1834. Negli stessi anni, il critico letterario enogastronomico Pellegrino Artusi consigliava in una sua memoria una speciale ricetta fatta appunto con il broccolo romanesco e non mancano poi le citazioni nelle poesie di Trilussa, l’altro grande padre del dialetto cittadino. Come figurazione speciale fa poi mostra di sé anche nel capolavoro del Neorealismo firmato da Roberto Rossellini, con la minestra di pasta e broccoli che bolle sulla stufa nel film “Roma città aperta”.

Il re della stagione fredda

Durante i mesi autunnali e invernali, quando il broccolo fa la sua comparsa, la cucina tradizionale romana e del Lazio se ne arricchisce, trasformandolo in appetitose pietanze. La cottura ottimale è quella al vapore, per evitare di disperdere troppe proprietà, ma esistono varie possibilità per esaltarne gusto e virtù. Per il suo sapore, è per esempio l’ingrediente ottimale per minestroni e sformati. Come contorno o come condimento per un sorprendente primo piatto, è perfetto lessato e ripassato in padella con guanciale e pecorino, oppure “soffocato”, cioè cotto a crudo con vino bianco, rigorosamente dei Castelli Romani. All’antica tradizione gastronomica romana appartiene poi la minestra di broccoli e arzilla, il nome romano per la razza, un piatto povero ma gustoso che un tempo era immancabile nei giorni di magro e quasi di precetto durante la Quaresima. In molte case romane, la sera della Vigilia di Natale, sulla tavola vedrete infine comparire le immancabili frittelle di broccoli in pastella, calde, dorate, croccanti, assolutamente da provare.

Frittelle di broccoli: la ricetta

Ingredienti
• 1 broccolo romanesco
• 250 grammi di farina
• 3 grammi di lievito di birra
• 150 millilitri di acqua tiepida 
• Sale 
• Olio per friggere

Preparazione
Preparate la pastella facendo sciogliere il lievito di birra nell’acqua, unendo la farina e mescolando bene fino a ottenere un composto omogeneo e senza grumi. Coprite con la pellicola e lasciate lievitare finché l’impasto non risulti raddoppiato di volume. Nel frattempo, pulite e lavate il broccolo, e fate sbollentare per 10/12 minuti circa le sue cimette. Una volta raffreddate, mettete a scaldare abbondante olio, immergete le cimette nella pastella e tuffatele nell’olio. Fate gonfiare e dorare le frittelle rigirandole spesso, e quando saranno pronte, scolatele su un foglio di carta da cucina.

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