Nella Roma del Medioevo, orefici, fabbri e sellai facevano parte di un’unica grande corporazione: il loro protettore era sant’Eligio, vescovo di Nojon, che nella sua vita era stato anche maniscalco, orafo di corte e direttore della zecca. I tre “mestieri” si erano già formalmente divisi all’inizio del Quattrocento ma i loro destini si separarono definitivamente un secolo più tardi, quando gli orafi affidarono a Raffaello il progetto di Sant’Eligio degli Orefici, lungo l’elegante via Giulia, mentre i “ferrari” si spostarono nel Rione Ripa, tra le pendici del Campidoglio e il Palatino. Qui la nuova confraternita fece abbattere le due piccole e più antiche chiese di San Giacomo d'Altopascio (ricordata già nel 1302) e di San Martino (menzionata per la prima volta alla fine del XII secolo) per edificare finalmente una chiesa tutta sua.
Conosciuta anche come “chiesa di Sant’Alo” e talvolta anche “Sant’Anigro”, come altre chiese corporative Sant’Eligio dei Ferrari fu realizzata a navata unica con una piccola abside, tetto a spioventi e campanile a vela. L’aspetto attuale della chiesa deriva però dai numerosi restauri e interventi decorativi che si susseguirono tra la fine del Seicento e il Settecento per l’iniziativa e la passione delle corporazioni di artigiani che aderivano alla confraternita (chiavari, armaioli, calderari, coltellinari, spadari…). La facciata in muratura, con doppie lesene laterali, è frutto dei restauri compiuti tra il 1903 e il 1905. In una nicchia sopra il timpano fu collocato il secentesco busto di sant’Eligio. Sul muro a sinistra della facciata si trova un portale con una grande finestra sormontata dall’incudine e dal martello, emblemi dello stemma dei ferrari.
La semplicità della facciata contrasta con la ricchezza dell’interno, decorato con sfarzosi marmi policromi, eleganti tarsie, ori e stucchi. Il bel soffitto a lacunari, datato 1604, ha al centro lo stemma della confraternita e l’iscrizione universit/atis / fabrorum /anno/domini/MDCIIII. Tra le opere più notevoli, si possono citare una statua lignea policroma che raffigura Sant’Antonio abate, realizzata nella prima metà del XVII secolo; la “Salita al Calvario”, quel che resta di un raro affresco manierista ritrovato nel 1989; e, all’altare maggiore, la Madonna in trono con san Giacomo e i vescovi Eligio e Martino, opera di Girolamo Siciolante da Sermoneta (fine XVI secolo).
Annesso alla chiesa è il Museo della confraternita dove si conservano oggetti dell’arredo liturgico e reliquiari tra i quali un braccio in argento, ottone e pietre semipreziose contenente la reliquia donata dalla cattedrale di Noyon nel 1619. La confraternita è tuttora in attività e mantiene la sede nella stessa struttura architettonica.
Foto turismoroma
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