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La pasta alla burina

La gioiosa invasione “burina” a tavola

Barbari o “balbuzienti” (seguendo l’etimologia della parola), e quindi incapaci di esprimersi in modo civile e comprensibile, erano nell’antica Grecia tutti gli stranieri. Nella sua ovvia accezione spregiativa, la parola ebbe larga fortuna nei secoli a seguire, specie quando l’Impero romano si trovò a fronteggiare le invasioni delle popolazioni “barbare” che premevano ai suoi confini: ma fu proprio dall’incontro e dalla fusione tra culture diverse che nacque l’Europa moderna. Anche la cultura gastronomica è, a sua volta, frutto delle più svariate influenze e contaminazioni e a Roma riflette le molte e contrastanti anime che popolano la città, dalla tradizione culinaria ebraica a quella “macellara” fondata sugli scarti e sulle frattaglie del quinto quarto. A darle riconoscibilità sono state però soprattutto le ricette povere della cucina “burina”, un termine in uso nel gergo romano per indicare una certa mancanza di urbanità ed eleganza. Ma a tavola è tutta un’altra storia.

La fortuna dei burini

Villano, rozzo, zoticone: “burino” è una voce che è facile incontrare nei sonetti di Belli ma che a Roma è attestata già dal Seicento, quando viene usata dal poeta Giuseppe Berneri per descrivere con una dose massiccia di ironia la gigantesca figura del Moro nella fontana di piazza Navona. Deriva probabilmente dal latino buris o bura, cioè la bure, una parte dell’aratro, ed era in origine il nome affibbiato a chi non era nato e non abitava in città, cioè ai contadini e ai pastori dell’agro romano che spesso provenivano dalla Romagna o da altre regioni dello Stato pontificio – certo non barbari, ma comunque in qualche modo “stranieri”. Fatto sta che furono proprio i prodotti della campagna (qualche ortaggio, un po’ di carne, del formaggio), preparati secondo ricette tramandate per generazioni, a dare forma a capolavori di gusto e sapore, come l’Amatriciana o la Gricia. Ecco allora che, già nel nome, la pasta alla burina vuole essere un omaggio a quella che è ormai diventata la tradizione romana a tavola e ai suoi ingredienti semplici e genuini, che hanno conquistato anche i palati più raffinati.

Il pranzo della domenica

Pecorino, salsiccia, piselli e pomodori freschi sono gli ingredienti principali di questo piatto diventato ormai un classico della cucina romana. “Burina” e rozza, nel senso di essenziale e verace, e quindi inevitabilmente buonissima: una pasta ricca e sostanziosa, divenuta popolare a partire dalla seconda metà del Novecento e nata elaborando vecchie tradizioni locali. Semplicissima da preparare ed economica, e quindi perfetta da portare in tavola per il pranzo della domenica in famiglia o per una cena tra amici, oggi come allora. Esattamente come accade per altre ricette a consumo familiare, ne esistono numerose varianti: c’è chi aggiunge i carciofi, chi i funghi trifolati o la pancetta, ma in ogni versione l’elemento immancabile è il pecorino rigorosamente romano, intenso e aromatico, che dà una marcia in più a ogni preparazione. Anche sul formato di pasta da utilizzare viene concessa una certa libertà: per ottenere un risultato ottimale i ricettari si dividono però equamente tra penne rigate e fettuccine all’uovo, che un tempo erano ovviamente fatte in casa.

La ricetta

Ingredienti per 4 persone
• 400 gr di pasta corta (o fettuccine)
• 2 salsicce
• 500 g di pomodorini
• 150 g di piselli freschi o surgelati
• 1 carota, mezza cipolla, uno spicchio d’aglio
• mezzo bicchiere di vino bianco
• prezzemolo
• pecorino romano grattugiato
• olio extravergine d’oliva
Preparazione
Fate rosolare le salsicce, private del budello e sminuzzate, in una padella ampia in cui avrete soffritto gli aromi tritati finemente (cipolla, carota e spicchio di aglio) e sfumatele con il vino bianco. Aggiungete i pomodori a pezzetti e dopo qualche minuto i piselli, lasciandoli cuocere fino a quando non saranno teneri. Nel frattempo cuocete la pasta al dente in abbondante acqua salata e appena pronta mantecatela con il sugo. Cospargete infine con una manciata generosa di pecorino romano e profumare con del prezzemolo tritato. 

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