La chiesa si chiamava in origine Santo Stefano de Pinea, in omaggio all’enorme pigna di epoca romana da cui è derivato il nome del rione in cui si trova e che oggi è conservata nella Città del Vaticano. La sua attuale curiosa denominazione deriverebbe da uno tanti reperti di epoca romana ritrovati in zona o emersi nel corso dei secoli dal sottosuolo. Come altri edifici dell’area, la chiesa sorge infatti sulle rovine di un grandioso tempio egizio, il cosiddetto Iseo Campense: “cacco” sarebbe, secondo alcune fonti, la storpiatura popolare di macaco (macacco), nome attribuito a una statua del dio egizio Thot rappresentato in forma di scimmia con la testa di cane.
Le origini della chiesa sono molto antiche anche se non si conosce con esattezza l’epoca di fondazione. La sua costruzione è generalmente fatta risalire al IX secolo con papa Pasquale I, la cui immagine era raffigurata nel mosaico absidale distrutto nel 1607. Risalgono al XII secolo il campanile, inglobato ora nel vicino monastero, e l’abside. Nel 1563 papa Pio IV concesse l’edificio all’Ordine Benedettino Silvestrino che nel Seicento ristrutturò la chiesa in stile barocco.
L’interno, a pianta basilicale, è diviso in tre navate separate da 12 colonne antiche in cipollino, marmo africano e granito orientale. In periodi successivi furono aggiunte cinque cappelle e, a metà dell’Ottocento, fu realizzato un nuovo pavimento con i marmi provenienti dall’antica Basilica di San Paolo fuori le Mura, andata distrutta da un incendio nel 1823. Sulla parete destra si trova l’opera più significativa della chiesa, l’affresco con la “Pietà” di Perìn del Vaga, allievo prediletto di Raffaello; altri dipinti sono le tele di Cesare Nebbia, Giovanni Baglione e Cristoforo Casolani, allievo del Pomarancio. Notevoli sono anche il Coro ligneo del 1668, il crocifisso seicentesco e l’organo del 1642 nella controfacciata.
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