2.000 anni di storia
Un formaggio stagionato a pasta dura, intensamente saporito e aromatico, che arricchisce da sempre i piatti della cucina capitolina, esaltandola e dandole sostanza. La sua lunga storia, del resto, coincide con quella della città e ha origini altrettanto antiche. Nei palazzi patrizi, persino quelli imperiali, era tra le pietanze preferite nei banchetti, tanto da essere citato nelle opere di molti autori, da Publio Virgilio Marone a Marco Terenzio Varrone e a Plinio il vecchio. Al suo successo sulla tavola di ricchi e meno ricchi contribuiva naturalmente la sua capacità di conservazione, dovuta all’abbondante contenuto di sale, che lo rendeva un alimento importantissimo anche per i legionari. I quali, insieme al pane, alla zuppa di farro, alla carne salata e ad alimenti come i fichi secchi, avevano a disposizione – racconta Virgilio – una razione giornaliera di un’oncia (27 grammi) di pecorino: per i suoi nutrienti e la sua alta digeribilità era una vera e propria iniezione di energia che aiutava i soldati ad affrontare le lunghe marce, le battaglie o i climi più inospitali. Persino la caduta dell’Impero Romano avrà scarso o nullo effetto sulla fortuna del pecorino che, col passare dei secoli, si ritroverà fra i cibi più apprezzati dai pellegrini, perché pratico da consumare e perfetto come sostituto della carne nei periodi di astinenza.
Lazio, Toscana e Sardegna
Nonostante il suo nome e le sue origini legate all’Agro romano, il pecorino ha come territorio di produzione, oltre al Lazio, anche la Sardegna e la Toscana, nello specifico la provincia di Grosseto. Ai nostri giorni, la maggior quantità di questo formaggio viene proprio dalla Sardegna, famosa tra l’altro per i pascoli di pecore. Qui, secondo numerose testimonianze, il pecorino sarebbe stato prodotto sin dal 227 a.C., ma a dargli una spinta decisiva fu, in modo indiretto, Leopoldo Torlonia a fine Ottocento. Nel 1884 l’allora Sindaco di Roma introdusse infatti il divieto di salagione (tecnica di conservazione) del pecorino all’interno della città, spingendo molti produttori romani a spostarne la lavorazione nella terra dei nuraghi. È stato proprio un gruppo di produttori di Lazio e Sardegna a dare vita nel 1979 al Consorzio per la tutela del formaggio pecorino romano, che vigila sulla sua produzione e si occupa della sua promozione su tutti i mercati. La certificazione DOP del Pecorino romano è stata ottenuta nel 1996. Ancora oggi, i passaggi fondamentali della sua lavorazione sono affidati alla mano dell’uomo, in particolare a quelle esperte del “casaro” e del “salatore”.
Ricette e abbinamenti
Per riconoscere il vero pecorino romano basta guardarlo e assaggiarlo. La crosta è sottile, di color avorio o paglierino, e può essere naturale o cappata nera. All’esterno è presente il marchio DOP e il logo del formaggio, una testa di pecora stilizzata, con la sigla del caseificio, provincia e data. Se è destinato a essere consumato come formaggio da tavola, viene fatto stagionare per 5 mesi; per quello da grattugia ne servono invece almeno 8. In entrambi i casi, a Roma è considerato un ingrediente unico e insostituibile quando si mette mano ai fornelli, prova ne è la sua presenza nei quattro piatti simbolo della città – Cacio e pepe, Carbonara, Gricia e Amatriciana. Per assaporare tutto il gusto dell’antico formaggio dei legionari, vale però anche la pena provarlo in abbinamento alle fave, una tradizione romana legata al 1° maggio ma ormai diffusa in tutta Italia, insieme a qualche fetta di pane casereccio e a un bicchiere di buon vino rosso o di un bianco strutturato. Il suo gusto deliziosamente piccante si sposa comunque magnificamente con un’infinità di sapori, dando una marcia in più anche a ricette creative e originali che fondono tradizione e innovazione. Non è certo un caso se il pecorino ha fatto fortuna anche in America: portato all’inizio con sé dagli italiani che emigravano dall’altra parte dell’Atlantico, ha ormai definitivamente conquistato il mercato a stelle e strisce.