
Nata a Nairobi nel 1972, l’artista keniota e americana Wangechi Mutu è la protagonista dell’esposizione a Galleria Borghese che ancora una volta testimonia l’interesse del museo per l’arte contemporanea (dopo le mostre dedicate a Giuseppe Penone Louise Bourgeois) e per la poesia.
Il progetto, sponsorizzato da FENDI, è concepito come un intervento site-specific che si sviluppa nelle sale interne del museo, sulla facciata e nei Giardini Segreti, introducendo un vocabolario inedito nell’architettura storica e simbolica della residenza del Cardinal Scipione. Il titolo evoca la duplice natura della pratica artistica di Mutu, intrecciata tra poesia e mitologie ma radicata nella materialità, in quella “terra nera” da cui le sculture sembrano emergere, come modellate da una forza primordiale.
La mostra si articola in due sezioni complementari. All’interno del museo, opere come Ndege, Suspended Playtime, First Weeping Head e Second Weeping Head si aggiungono alle opere della collezione Borghese senza celarla. Utilizzando materiali come bronzo, legno, piume, terra, carta, acqua e cera in un contesto tradizionalmente dominato dal marmo, dallo stucco e dalle superfici dorate, l’artista ribadisce la poetica della trasformazione e del divenire: sospese in aria o poggiate su piani orizzontali, le opere ridisegnando la percezione del museo, non più un semplice contenitore di oggetti ma un organismo vivo, in continua trasformazione.
All’esterno, sulla facciata del museo e nei Giardini Segreti, opere come The Seated I e The Seated IV (realizzate nel 2019 per il Metropolitan Museum di New York), Nyoka, Heads in a Basket, Musa e Water Woman offrono un contrappeso all’ordine classico del sito, sfidando la forma idealizzata e la narrazione lineare a favore dell’ambiguità, dell’alterità e della presenza spirituale. Anche il suono, vero o suggerito, e la sua traccia giocano un ruolo sottile ma pervadente nella mostra: dal ritmo sospeso di Poems for my great Grandmother I al testo appoggiato di Grains of Words, tratto dalla canzone War di Bob Marley (a sua volta ispirata al discorso anticoloniale di Haile Selassie del 1963).
La mostra prosegue all’American Academy in Rome, dove è esposta la scultura in bronzo Shavasana I.
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