Un alone di mistero ammanta uno dei luoghi più leggendari di Roma, la Rupe Tarpea – dal latino Rupes Tarpeia o Saxum Tarpeium – la parete rocciosa situata sul lato meridionale del Campidoglio verso il Teatro di Marcello.
Fino al I secolo d.C., era da qui che i traditori della Patria condannati a morte venivano fatti precipitare per essere simbolicamente espulsi dall'Urbe. Tra i morti eccellenti ricordiamo Marco Manlio Capitolino, 384 a.C., condannato per sedizione, i ribelli di Tarentum (odierna Taranto), 212 a.C., Lucio Cornelio Crisogono, 80 a.C., Sesto Mario, 33 d.C. e Simone bar Giora, 70 d.C.
Probabilmente, “Mons Tarpeius” è il nome più antico del Campidoglio e Tarpea era la mitica fanciulla, vergine vestale figlia del comandante romano Spurio Tarpeio, custode della rocca capitolina. La giovane, che visse indicativamente tra il IV e il III secolo avanti Cristo, si fece convincere a tradire i Romani da Tito Tazio, re dei Sabini, spalancando loro le porte del colle in cambio delle armille, ovvero gli anelli e i bracciali d’oro che gli invasori indossavano al braccio sinistro. La giovane non ebbe comunque fortuna e fu a sua volta tradita dagli stessi Sabini che, una volta entrati, le gettarono addosso i loro scudi, uccidendola.
Molto probabilmente, la storia della rupe ha origine dalla Dea Tarpeia del Mons Tarpeium, su cui sembra sorgesse la statua della divinità tutelare, posta come un trofeo sopra una catasta di armi.
Nel tempo, la vicenda di Tarpea e della Rupe si perse nella leggenda: ne vengono riportate diverse versioni, tra cui quella di celebri autori del passato come Livio, Properzio, Dioniso di Alicarnasso e Plutarco.
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