Anticamente, il colle Celio, su cui si estende l’omonimo rione, era chiamato Mons Querquetulanus, perché ricoperto interamente di querce. In età repubblicana, invece, l’area era punteggiata da lussuose ville patrizie e assunse la vocazione di zona residenziale che ancora mantiene.
È qui, a pochi passi dalla Chiesa di Santa Maria in Domnica alla Navicella e l’antico Clivo di Scauro, che possiamo ammirare l’Arco di Dolabella e Silano, una porta delle Mura Serviane, ricostruita da Augusto e identificabile con la Porta Caelimontana.
Utilizzato in seguito per sostenere l'acquedotto di Nerone, l’arco fu costruito all’inizio del I secolo d.C. dai consoli Dolabella e Silano, come recita l’iscrizione sull'attico della facciata: "P. CORNELIS P. F. DOLABELLA C. IUNIUS C. F. SILANUS FLAMEN MARTIAL(is) CO(n)S(ules) EX S(enatus) C(onsulto) FACIUNDUM CURAVERUNT IDEMQUE PROBAVER(unt)", ovvero, "Publio Cornelio Dolabella, figlio di Publio, e Gaio Giunio Silano, figlio di Gaio, flamine di Marte, consoli, per decreto del Senato appaltarono(quest'opera) e ne fecero il collaudo".
Riedificato con blocchi di travertino sovrapposti agli originari blocchi di tufo, ancora visibili nella parete destra, l’arco misura 4 metri in ampiezza e 6,56 metri in altezza, ma una parte è attualmente interrata.
Insieme all’Arco di Gallieno, l’Arco di Dolabella e Silano è l’unica altra porta che ancora si apre nelle Mura Serviane.
Sopra l’Arco di Dolabella e Silano, si trova una stanza in cui, secondo la tradizione, dimorò, dal 1209 al 1213, anno della morte, San Giovanni de Matha, martire cristiano e fondatore dell’Ordine della Santissima Trinità che aveva sede nel complesso di san Tommaso in Formis, i cui membri avevano il compito di curare gli schiavi liberati.
Chiesa di San Tommaso in Formis
Rione XIX - Celio
Villa Celimontana
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