Gli studiosi del Parco archeologico del Colosseo hanno riportato alla luce alcuni ambienti di una magnifica domus di età tardo-repubblicana che si trovava nell’area in cui, in età augustea, sorgevano gli Horrea Agrippiana, i famosi magazzini costruiti da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, lungo il Vicus Tuscus, la strada commerciale che collegava il porto fluviale sul Tevere e il Foro Romano.
Dietro gli Horrea, la domus si innalza su più piani, probabilmente terrazzati ed è contraddistinta da tre fasi edilizie che si possono circoscrivere tra la seconda metà del II secolo a.C. e la fine del I secolo a.C.
L’antica abitazione si sviluppa intorno a un atrio/giardino e il suo ambiente principale è uno specus aestivus, una sala per banchetti edificata a imitazione di una grotta per essere fruita soprattutto durante la stagione estiva e animata da scenografici giochi d’acqua, grazie al passaggio di alcuni tubi in piombo rinvenuti all’interno delle pareti decorate.
Nel medesimo ambiente, ed è questo a rendere la scoperta eccezionale, è stato svelato uno straordinario rivestimento parietale in mosaico “rustico”, databile agli ultimi decenni del II secolo a.C., realizzato diversi esemplari di conchiglie, tessere di blu egizio, preziosi vetri, scaglie minute di marmo bianco e altri tipi di pietre, frammenti di travertino spugnoso e cretoni di pozzolana. Il mosaico riproduce una sequenza complessa di figure simboliche tra cui tralci di foglie di loto e di vite, cataste di armi con trombe di tipo celtico (carnyx), prue di navi con tridente, timoni con triremi che forse fanno riferimento a un duplice trionfo, terrestre e navale, del proprietario della domus, un personaggio aristocratico, verosimilmente di rango senatorio.
Potrebbe infine alludere a una conquista bellica la suggestiva raffigurazione, nella grande lunetta soprastante, di una città costiera cinta da mura con piccole torri, portici e porte e affacciata su un mare solcato da tre grandi navi di cui una con vele sollevate.
Foto: Domus del Vicus Tuscus - Ph. Archivio Parco archeologico del Colosseo, Simona Murrone