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Via dell’Arco della Ciambella e le Terme di Agrippa

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Via dell’Arco della Ciambella e le Terme di Agrippa
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Una città, mille storie

Il modo migliore per conoscere una città è imparare a vagabondare e a perdersi tra le sue strade: basta uscire appena un po’ dai percorsi più tracciati dalle guide turistiche, per scoprire, anche di Roma, un volto inedito e “fuori le righe”, un intreccio di storie affascinanti e particolari nascoste tra i mille vicoli del centro storico. Il compito di ricordarle e tenerle vive è affidato almeno in parte anche alle stesse targhe stradali: nomi curiosi e dal sapore antico capaci, per esempio, di far riemergere inaspettatamente il ricordo perduto di artigiani e botteghe, come in via dei Chiavari, via dei Falegnami o via dei Coronari… Non è detto però che i nomi delle vie siano sempre facili da decifrare al primo sguardo, come nel caso della stradina apparentemente anonima nel cuore del Rione Pigna, tra il Pantheon e l’Area sacra di Largo di Torre Argentina: via dell’Arco della Ciambella.

Le prime terme pubbliche di Roma

Niente a che vedere con una qualche specialità gastronomica: per capire a cosa faccia riferimento il nome della strada, occorre tornare molto indietro nel tempo, agli albori dell’Impero romano. Tra il 25 e il 19 a.C., cioè, quando il console Marco Vipsanio Agrippa – amico fidato e genero di Augusto – fa realizzare in questa zona del Campo Marzio un grandioso complesso termale, lasciandolo poi in eredità al popolo romano. Alimentate dall’Acquedotto Vergine, le prime terme pubbliche dell’antica Roma erano magnificamente decorate con affreschi, mosaici e statue: qui si trovava per esempio il famoso e ammirato Apoxyomenos dello scultore greco Lisippo, di cui oggi rimane solo una copia in marmo riemersa nell’Ottocento dal sottosuolo di Trastevere, in vicolo dell’Atleta, e conservata ai Musei Vaticani. Più volte restaurate nei secoli successivi e ancora funzionanti nel V secolo, le terme cominciarono a essere smantellate già nel VII secolo e come di consueto i loro materiali vennero riutilizzati per nuove costruzioni.

I resti della “ciambella”

Torniamo alla nostra stradina: sollevando lo sguardo, dietro un paio di case che lo nascondono e gli si appoggiano, potremo scorgere un imponente rudere romano, alto circa 10 metri. È quasi tutto ciò che resta delle terme, una porzione di quello che probabilmente era il calidarium, una sala rotonda coperta a cupola che, con i suoi 25 metri di diametro, era il fulcro e il centro di tutto il complesso. L’apertura della via nel 1542 tagliò esattamente a metà l’edificio circolare. La sala rimase però ancora pressoché integra fino all’inizio del Seicento, come mostrano stampe e disegni dell’epoca. Il popolo la chiamava familiarmente “Rotulo”, “Tondo” o “Torrione”: da lì a “Ciambella”, un nome attestato fin dai primi anni del Cinquecento, il passo era breve. I lavori di sistemazione della zona ordinati da papa Gregorio XV nel 1621 si rivelarono fatali per le antiche rovine: una incisione del pittore olandese Bonaventura van Overbeek, datata al 1708, mostra che l’edificio e l’arco che ne consentiva il passaggio erano ormai stati quasi del tutto demoliti, lasciando la strada libera da intralci più o meno come ci appare ora.

La Madonnella miracolosa

Ma le curiosità della piccola strada non si esauriscono qui. Sotto la “ciambella”, un bel tabernacolo ospita una copia ottocentesca della “Madonna del Rosario”. Considerata miracolosa e quindi veneratissima, insieme ad altre Madonnelle della città l’immagine sacra originale sarebbe stata vista muovere gli occhi e versare lacrime per quasi 20 giorni dal 9 luglio del 1796, nell’imminenza e ineluttabilità dell’invasione francese dello Stato Pontificio. Completata da un baldacchino in legno, una mensola con due lampioni e un inginocchiatoio, l’edicola antica apparteneva alla famiglia Capparucci, che la prima domenica di ottobre celebrava qui una festa solenne in suo onore addobbando l’immagine con rami di mirto, luci e festoni. Alla fine dell’Ottocento, quando la famiglia si trasferì, portò con sé l’immagine e da allora se ne persero le tracce. La copia oggi esposta nell’edicola fu commissionata qualche anno più tardi da un falegname della zona al pittore Pietro Campofiorito, con la Madonna che sorregge il Bambino e tiene nella mano destra un rosario.

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