Siamo nel Rione Sant’Angelo, una delle zone che furono il cuore della Roma medievale, e la chiesa rievoca ancora oggi nel nome i fabbricanti di funi che esercitavano il loro mestiere in questa parte della città, utilizzando gli ambienti interrati dei palazzi. Alla fine del XII secolo, quando viene attestata per la prima volta in una bolla di papa Celestino III, la chiesa era però ancora nota con il nome di Santa Maria Dominae Rosae o Sancta Maria in castro aureo, perché si riteneva sorgesse sulle rovine del Circo Flaminio, detto appunto Castrum Aureum.
Nel 1534 Paolo III concede la struttura a Sant’Ignazio di Loyola che vi fonda il Conservatorio di Santa Caterina della Rosa, conosciuto anche come “Compagnia delle Vergini Miserabili Pericolanti”, con la pia intenzione di dare rifugio alle figlie di cortigiane e di donne di malcostume o in estrema povertà, esposte a ovvi pericoli, per facilitarne il matrimonio con uomini selezionati o avviarle al convento. Nel 1560, quando la Compagnia assume forma stabile come Confraternita, Sant’Ignazio suggerisce al cardinale Federico Cesi di ricostruire la chiesa e di dedicarla a Santa Caterina d’Alessandria. A essere incaricato dei lavori è Guidetto Guidetti, allievo di Michelangelo.
La bella facciata a due ordini è arricchita da un grande festone di frutta e ha alcune somiglianze con il prospetto della chiesa di Santo Spirito in Sassia, da cui si distingue per la maggiore ricchezza dell’ornato. Una piccola cupola ottagonale sormonta la cella campanaria del coevo e singolare campanile, costruito su una preesistente torre medioevale e ben visibile da piazza Lovatelli. L’interno, in eleganti forme tardo-rinascimentali, è a navata unica coperta a volta e possiede notevoli opere d’arte, tra cui la pala d’altare con Santa Margherita di Annibale Carracci nella Cappella Bombasi, la Deposizione di Girolamo Muziano e il ciclo di affreschi con le Storie di Santa Caterina di Federico Zuccari nella Cappella Cesi.
L’annesso e retrostante monastero fu demolito nel 1940 con l’idea di ricostruirlo. L’area restò in abbandono fino a quando importanti scavi archeologici riportarono alla luce la Crypta Balbi, oggi una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano.
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