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I condimenti della cucina romana

I condimenti della cucina romana

Ode al sapore

L’autentica cucina romana popolare si fonda su pietanze genuine ed essenziali che ne rispecchiano la storia, realizzate con ingredienti semplici e spesso umili. Condimento principe delle ricette del passato era lo strutto, seguito dal guanciale e dal lardo e, solo per alcuni piatti, dall'olio d'oliva

Giuseppe Gioacchino Belli, grande poeta e profondo conoscitore della gastronomia romana, nel 1837, dedica a due protagonisti della cucina popolare “Li connimenti”, un sonetto molto arguto. In maniera scherzosa ma sincera, i versi raccontano il contrasto tra i due “rivali” e il loro uso specifico nelle pietanze: lo strutto, dall’aroma deciso, che dona particolare morbidezza alle preparazioni, e l’olio, che le rende più fragranti. 
Lo strutto, ottimo per le ricette di carne ─ crostini con il prosciutto, pollo, arrosti e umidi, le minestre e le zuppe ─ era sostituito dall'olio esclusivamente per le preparazioni a base di pesce e per i fritti, come lo stesso Belli ci ricorda nel suo sonetto: “Vòi frigge er pessce co lo strutto?! Eh zzitto. Er pessce fritto in nell'òjjo va ccotto: L'òjjo è la morte sua p'er pessce fritto. […].

Suoni e profumi della tradizione

Sino alla metà del secolo scorso era consuetudine sentire il canto delle “battilonte”, un rumore corale che echeggiava nelle cucine di Roma. La battilonta era una piccola tavoletta in legno sulla quale la massaia preparava il battuto di sedano, cipolla, carota, aglio, prezzemolo e lardo, la base della cottura senza olio per la preparazione delle minestre. Dal mattino presto al rintocco delle campane del mezzogiorno, era tutto un tritare e battere senza sosta, mentre le case si riempivano di profumi deliziosi, per preparare un soffritto che oggi ha del nostalgico. 
Un posto d'onore spetta anche al guanciale, ingrediente fondamentale della pasta alla carbonara e della matriciana, protagonista di una personalissima ricetta dell’indimenticabile attore Aldo Fabrizi: “soffriggete in padella staggionata, cipolla, ojo, zenzero infocato, mezz'etto de guanciale affumicato e mezz'etto de pancetta arrotolata”
L'olio d'oliva, tuttavia, non è da meno, diventando indispensabile nella cucina giudaico-romanesca e nella preparazione dei fritti, come quello alla romana: raffinato, preparato con farina e uovo sbattuto, la cui ricetta autentica prevede rigorosamente carciofi, schienali e cervella, ai quali si può aggiungere qualche fettina di fegato di vitello e del pane dorato.

Poveri ma buoni!

Le magnifiche verdure del territorio incontrano l'olio di oliva in un piatto che regala gusto e delicatezza. Parliamo del cazzimperio, diffuso già all’epoca degli antichi romani, da consumare a inizio o fine pasto come vuole la tradizione. 
Si tratta di una ricetta davvero semplice: sedano, finocchi e ravanelli, freschi e croccanti, da intingere in un delizioso intingolo di “ssale e ppepe e cquattro gocce d’ojjo”, come scriveva Il Belli. 
L’origine del nome non è chiara: noto nel resto d’Italia come pinzimonio, prende il tipico nome romano probabilmente dall’italiano arcaico “cazza”, un antico mestolo utilizzato dagli alchimisti, o dal possibile effetto afrodisiaco del mix di sapori.
In una cucina povera ma succulenta come quella romana, c’è sempre stata l’abitudine di riutilizzare scarti e alimenti per creare ricette straordinarie. Tra queste è impossibile non citare una tra le più gustose “sorprese” fritte della tradizione capitolina: il pandorato. Diffuso a Roma e nel Lazio, era ottimo per le tasche e per la gola, una vera esplosione di croccantezza e calorie, a base di due fette spesse di pane raffermo, un uovo avanzato dalle fritture, poco sale e un po’ di latte, non adatta a “chi soffre de colesterina”, come scriveva il grande Fabrizi. In Ciociaria se ne preparava una versione con fette di pane più sottili, da cui si ricavava una “tasca”, da farcire con provatura, formaggio di latte di bufala, e filetti di alici.
Vi invitiamo a riscoprire questa ricetta dal sapore antico e autentico, secondo la versione di Ada Boni del 1930:

La ricetta: il pandorato
Ingredienti
• 2 fette di pane
• 1 uovo
• latte
• sale qb

Preparazione 
Tagliare due fette di pane tenendole spesse un dito e ricavandone, dopo aver portato via la crosta, dei pezzi quadrati di circa sei centimetri di lato. Allineare le fette in un piatto e spruzzarle leggermente con del latte tiepido ricoprendole poi con un uovo sbattuto. Aggiungere un pizzico di sale e lasciare riposare le fette per almeno un'ora per dare modo al pane di assorbire completamente l'uovo. Sollevare le fette con una palettina ed immergerle nell'olio bollente per la frittura. Servire calde.

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